La storia dell’abbazia è controversa, a causa degli scarsi documenti a disposizione. Le fonti della tradizione locale hanno ricondotto la costruzione al X secolo, per opera dei monaci basiliani. A questa tesi si è sempre affiancata anche quella che propende per una fondazione legata ai Templari, il cui passaggio è sostenuto dalla presenza di elementi decorativi riconducibili all’ordine, tra cui un nodo di Salomone ed alcune croci-simbolo. La tesi più diffusa, invece, ha attestato una confluenza a Valvisciolo delle comunità dei vicini monasteri di Marmosolio nei pressi di Ninfa e di Valvisciolo di Carpineto Romano.
All’inizio degli anni Novanta del Novecento, una diversa lettura delle fonti documentarie - unita ad un’accurata analisi architettonica e storico-artistica susseguente agli ultimi lavori di restauro - ha evidenziato un’origine esclusivamente cistercense. Questa tesi, ormai condivisa da tutti i ricercatori, attesta la costruzione del monastero del Monte di Santa Maria del Marmosolio con un atto di fondazione datato 1154. Il complesso mutò poi toponimo e si giunse all’attuale ‘Santi Pietro e Stefano di Valvisciolo’, che si vuol far derivare dal latino Vallis Lusciniae (Valle dell’Usignolo), a richiamare la vallata ai suoi piedi.
L’abbazia raggiunse il momento di maggior splendore a fine XIII secolo, grazie a papa Bonifacio VIII Caetani, il quale cercò di favorire la ricchezza di Valvisciolo attraverso donazioni e benefici vari, complice la presenza dei propri familiari come feudatari di tutta l’area circostante. A partire dalla fine del XV secolo iniziò un lento declino del complesso abbaziale a causa delle guerre e dello scoppio di due violente epidemie di peste, che andarono ad aggiungersi al secolare problema della malaria portata dalle vicine aree paludose. I monaci abbandonarono l’abbazia nella prima metà del Cinquecento.
Nei primi anni del XVII secolo il monastero venne di nuovo popolato dai monaci, che rimasero nel complesso sino ai primissimi anni dell’Ottocento. Da quel momento in poi, Valvisciolo cominciò ad essere utilizzata come magazzino e fienile, finché papa Pio IX, negli anni Sessanta dell’Ottocento, decise di riportarlo in vita: iniziò il restauro e chiamò alcuni monaci dall’abbazia di Casamari per popolarla nuovamente.
Oggi l’abbazia ospita appena una decina di monaci e dai tempi di papa Pio IX è priorato conventuale dipendente dalla Congregazione di Casamari.
Fonte bibliografica: Lucio Spiccia, Sermoneta, Littera Antiqua, Latina 2009.
.
© 2003-2018 SERMONETA.NET | E-mail: info@sermoneta.net